Il mondo di Eschilo:
L’universo tragico
eschileo trova il suo compimento nell’Orestea, la trilogia conclusiva di
Eschilo nella quale si succedono le tragedie: Agamennone, le Coefore e infine
le Eumenidi.
Agamennone porta con sé
la dannazione della sua stirpe, gli Atridi, e ha già scritto il suo destino, di
fatto il personaggio di Clitemestra, sua moglie, nell’uxoricidio compie, si da
un lato la propria vendetta per la morte per mano dello stesso Agamennone della
figlia Ifigenia, ma dall’altro non fa che essere mero strumento di quel fato
trascendente e oscuro a cui l’universo storico di quella Grecia (gli anni di
Eschilo) appartiene. Agamennone uccide, compiendo un sacrificio, sua figlia
Ifigenia per ottenere il successo nella guerra di Troia. Questo desiderio di
gloria è di per sé già un atto di "hybris" nei confronti delle
divinità, benché come si è detto Agamennone abbia già iscritto il proprio
destino ad un esito negativo. Potremmo sottoscrivere questa tracotanza, la
infinita protervia di Agamennone che lo spinge persino a sacrificare sua
figlia, ad una prima storica "teorizzazione" di imperialismo, a quella
esigenza di potere spasmodico per cui ogni sentimento, ogni valore viene rimosso.
Con l’uccisione della progenie in nome di gloria e potere, l’onore della patria
qui viene, in qualche modo, tradito e macchiato nella sua purezza, deviando gli
intenti patriottici di onore verso una simbologia maggiormente individualistica
e imperialistica appunto. Probabilmente un proto-imperialismo non cosciente.
Clitemestra non ha
nessuna colpa per la sete di vendetta, tuttavia ella non ha libera scelta nel
suo gesto, giacché sottomessa a quel fato che risponde alla legge del taglione
per cui lo stesso Agamennone, figlio di Atreo, deve pagare le colpe del padre.
Sarà Egisto, figlio di Tieste a cui suo fratello Atreo, padre di Agamennone,
aveva ucciso tre figli costringendolo anche a mangiarli in un banchetto, a
compiere il delitto. Anch’egli dunque in quel circolo di infinita vendetta
della stirpe. La sete di gloria di Agamennone e la vendetta di sua moglie
Clitemestra rispondono dunque all’arroganza di potere e onori e alla vendetta
umana, una vendetta tuttavia, come si è detto, destinata e non libera. Troviamo
nel mondo eschileo quella scissione già aperta tra sottomissione dell’uomo alle
potenze oscure delle divinità per cui tutto è già stabilito nella vita umana e
una prima volontà di "ratio" dell’uomo nel decidere del proprio
destino. Del resto questo passaggio lo si nota maggiormente nel personaggio del
figlio Oreste, nella seconda tragedia: le Coefore, dove appunto Oreste si
vendicherà dell’uccisione del padre Agamennone uccidendo sua madre Clitemestra.
Qui infatti Oreste non risulta essere, come sua madre, mero strumento nelle
mani del fato, ma compie un passaggio in più, perché nel momento della
vendetta, che pure era stata ordinata dal dio a Delfi, ha un istante di
esitazione (un travaglio umano nella scelta dell’uccisione del padre)
esitazione che sua madre non aveva avuto, giacché schiava di quel fato. Come
per un’evoluzione coscienziale umana, Oreste rappresenta il passaggio umano di
liberazione dalle catene della trascendenza verso un rinascimento umano, ove l’uomo
inizia a scegliere liberamente. Non tutto è scritto e stabilito dal fato, bensì
l’uomo può indugiare, scegliere. Un fattore questo che nel corso della tragedia
greca dapprima con Sofocle e poi con Euripide (si pensi a Edipo re o Medea)
verrà perso definitivamente, producendo quell’irrimediabile frattura tra mondo
umano e divino, in cui l’uomo perderà il senso delle motivazioni divine non
comprendendone più le logiche, la loro scaturigine.
Edipo re compie ciò che
compie, né per sua intenzione, né per colpa della sua stirpe. Lo compie senza
capire la logica, evidenziando l’assurdità dell’esistenza umana nei suoi gesti
e azioni.
Infine nella terza
tragedia, atto conclusivo dell’Orestea, vediamo ancora il figlio Oreste
fuggire, dopo l’uccisione della madre, dalle Erinni, crudeli dee adibite alla
vendetta per chi uccide un familiare. Tutto si conclude con l’assoluzione di
Oreste da parte di Atena nelle vesti di giudice. Egli è difeso da Apollo contro
le Erinni. Prima volta in cui delle divinità sono poste dinanzi a un tribunale
umano e perdono in nome del Nomos immanente. La simbologia della tragedia qui
ci indica una svolta decisiva. In primis due divinità giovani Atena e Apollo
sconfiggono divinità antiche e arcaiche come le Erinni, le quali vengono
tramutate in Eumenidi cioè dee positive e di tutela (quasi un passaggio di
mutamento del metafisico, uno sviluppo moderno riformistico) in secundis vi è
un passaggio decisivo nel concetto di giustizia umana: Dalla legge arcaica e
violenta del taglione, si passa alla legge razionale e moderna, anche qui come
per la metafisica, di un tribunale, ponendo fine a quella spirale di vendetta
nel precetto di occhio per occhio. Il tema della giustizia, in greco Dike, è
centrale e suggerisce quell’alleanza, in seguito persa come abbiamo detto, tra
uomo e divinità e una maggiore autonomia umana nelle scelte individuali.
Eschilo è un tragico
positivo che non crede ancora al tema socratico del "sapere di non
sapere", ma quasi - positivamente - ha fede nell’uomo e nella sua Ratio.
Raffaele Gatta
Commenti
Posta un commento