Il mondo della tragedia greca è un cosmo così ricco di contrasti che risulta difficile compiere delle nette cesure, tuttavia, parlando di Sofocle e delle sue tragedie si può pensare, a buon diritto, a come il suo pensiero rappresenti qualcosa di oramai del tutto estraneo al corpo dei tempi odierni, in cui un povero scientismo, prezzolato in fattura mediatica, cerchi di ricondurre ogni elemento umano sotto la propria "ricerca" e un altrettanto becero edonismo ridente, si celebri gaudente nella sua stolta euforia di ottimistica fiducia nel benessere dei consumi e in programmi digitali in 4k.
Sì, perché Sofocle è forse dei tre grandi tragici il più dionisiaco, quello maggiormente deviato verso un destino ineluttabile e incontrovertibile. E tutto questo è lontanissimo dal mondo odierno, dove tutto è possibile-accessibile-fruibile.
Soggiace in Sofocle, quasi come "substantia", il malessere della non scelta umana che anche quando si fa scelta, pur sempre essa rimane signata da una profonda esclusione della vita libera. Tutto può mutare nella vita degli uomini in pochi istanti. Dal bello al brutto, dall'agio alla disfatta totale.
In Edipo a Colono queste parole quasi a conclusione della vita stessa di Sofocle, oramai prossimo alla morte: «Non nascere, ecco la cosa migliore, e se si nasce, tornare presto là da dove si è giunti. Quando passa la giovinezza con le sue lievi follie, quale pena mai manca? Invidie, lotte, battaglie, contese, sangue, e infine, spregiata e odiosa a tutti, la vecchiaia»
Oggi i 50enni sono eterni ragazzotti, il tempo delle "lievi follie" si è dilatato all'infinito e vi è un'eterna giovinezza con una rimozione preoccupante del senso della morte o ancor peggio della terza età.
L'elemento razionale, apollineo, in Sofocle è piuttosto tenue rispetto ad Eschilo, il quale, contro il destino tragico, compie, potremmo dire, un'azione kathécon. Gli elementi positivi si sciolgono verso una forma di proto-esistenzialismo che secoli dopo sarà esplicito in molti filosofi e poeti. "Scegliere" è anche confondersi e perdersi, cercare la verità della propria identità, come in "Edipo re", vuol dire scoprire il tragico. Vi è probabilmente, sottinteso, il messaggio secondo cui è meglio non vedere, non conoscere la verità, ma l'uomo è pur sempre un animale razionale e non può in lui esimersi la volontà gnoseologica-epistemologica e così il destino si compie nelle note tragiche dell'orizzonte umano.
Che non siano riflessioni, quelle Sofoclee, rivolte anche alla scienza destinata ad una hýbris sempre maggiore e verso un tragico destino? Ecco che Sofocle allora da dionisiaco ci appare anche pensatore apollineo che mette in guardia dalla conoscenza, dalla ricerca umana, ovvero sembra costituirsi nelle sue strutture narrative un'indagine oggettiva su quanto l'uomo possa indagare, sapere, rendere episteme.
La forma metrica e tutto lo studio che possiamo trovare nei trimetri giambici, i versi anapestici o il ritmo dei tetrametri trocaici è una veste logora sul pensiero abissale di Sofocle. Non vi è musica che possa addolcire questo grande tragico che sprigiona la povertà umana, la sua inadeguatezza o caducità rispetto ad una Natura cinica, fredda, leopardiana.
Raffaele Gatta
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