E' possibile, oggigiorno, in un quadro politico e culturale come quello odierno adombrato da scenari di guerre mondiali, non abbracciare idee (non dico ideologie) rivolte al mondo?
Ci si può permettere da letterati, artisti e intellettuali di evitare lo scontro con il reale? Rinchiudersi ovvero in una torre eburnea, sottratti allo scenario vivido e oggettivo del mondo degli uomini.
In sostanza si può essere degli splendidi parnassiani col cuore in pace e l'anima in paradiso?
La scuola parnassiana si rifaceva al pensiero di Théophile Gautier "l'art pour l'art". In questa teoria si propugna un principio artistico poetico lontano da problemi politici e morali. Il termine parnassiano deriva dal monte Parnaso consacrato al dio greco Apollo e alle Muse. Suo maggiore rappresentante fu: Leconte de Lisle.
Non abbiamo nulla contro tale corrente, la quale ha prodotto opere di interesse e ha illuminato anche autori come Charles Baudelaire. Tuttavia la problematica filtra in un concetto di disinteresse dai problemi reali, concetto che non sempre può essere assunto in determinati periodi della storia. Vivere in un Eden sacro e atemporale è un lusso che spesso viene prodotto dalla coscienza infelice di hegeliana memoria. Dapprima gli aristocratici, poi i borghesi e infine quel che rimane della borghesia, ovvero una tabula amorfa e sterilizzata innestata in tutti gli strati sociali, hanno sempre rivolto lo sguardo, grazie ai propri privilegi economici e politici, a un modello di siffatta maniera. Il Potere cangiante nella storia e la sua relativa classe sociale ha sempre agognato una vita dai principi universalistici buoni, a un'Anima Bella come direbbe lo stesso Hegel. Sappiamo bene che i borghesi avevano la pancia piena e con la pancia piena i discorsi si sono sempre fatti bene. Oggi potremmo riferirci ai discorsi sull'ambiente, sull'animalismo e così via. Tematiche, si noti, anche giuste e degne, ma realizzate attraverso una logica di potere, la quale rischiara gli elementi sociali sovrastrutturali in modo superficiale, declinando quindi temi come l'ambiente o gli animali in un vitreo sentimentalismo. Anima bella, si diceva, incapace di uscire da se stessa e dunque inattiva nella determinazione storico-sociale: "Questa fuga davanti al destino, questo rifiuto dell'azione nel mondo, rifiuto che porta alla perdita di sé"
Nel vangelo di Luca (13,6-9) troviamo la parabola del fico sterile. Un fico sterile che non produce frutti viene giudicato inutile e dunque da tagliare. Gesù stesso esorta i cristiani a produrre frutti con le loro opere per condurre le anime alla salvezza, altrimenti il rischio è l'inferno.
La letteratura in primis, ma anche l'arte, può dunque essere una sterile riflessione sul piano oggettivo posto dinanzi a sé o essa deve squarciare il velo di Maya per far sì che il soggetto poetico trasformi, anche attraverso i personalissimi e intimi "Io", le sterili classi del Potere?
Raffaele Gatta
Commenti
Posta un commento